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2020, l’anno dell’Apocalisse?

Articolo di Alessandra Testori

18.02.2019

 

Gli Stati Uniti sono un paradosso vivente. Ci sono le città più ricche e avanzate del mondo in generale e, ai loro margini (geografici o metaforici) le periferie più povere del mondo occidentale. Il Bronx è dentro New York, Long Beach è dentro Los Angeles. Ci sono le grandi star del cinema, idoli divinizzati come incarnazioni del sogno americano. Ci sono i rapper più celebri. E poi ci sono tutti i ragazzi morti malamente. Perché i sei compianti rapper che ci hanno lasciati improvvisamente negli ultimi tre anni sono soltanto la punta dell’iceberg, la manifestazione di una tendenza agghiacciante. Un andamento che ti portata a pensare “be’, Nipsey Hussle non conta, aveva già trentatré anni”. Già trentatré anni. Se nell’elenco dei morti quello di trentatré anni è il più vecchio, allora c’è qualcosa che non funziona.

Con l’omicidio di Pop Smoke, la sensazione di assistere a un boom di decessi nell’hiphop, iniziata nel 2017 con Lil Peep, si è ulteriormente confermata. Resta da capire se si tratti semplicemente di una sensazione oppure se realmente negli ultimi anni siano aumentate le morti dei rapper statunitensi. Forse in passato c’erano meno morti, oppure c’erano meno rapper, quindi c’erano sempre tanti morti ma erano persone comuni.

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O, ancora, il rap non era così popolare come oggi, quindi c’erano sempre tanti rapper morti ma c’erano meno notizie a riguardo. In ogni caso, che si tratti di un fenomeno in crescita o stabile nel tempo, lo scenario rimane drammatico.

Evidentemente, il “diritto inalienabile alla ricerca della felicità” citato nella Dichiarazione d’Indipendenza non è mai stato riservato a tutti — a cominciare dagli schiavi degli Stati del Sud che, dal momento della sua pubblicazione, avrebbero dovuto aspettare più o meno un secolo prima di avere il diritto anche solo a pensare che cosa significasse il termine felicità. Considerando che nel corno d’Africa è arrivata anche la seconda piaga biblica, le cavallette, rassereniamoci di non uscire di casa per il panico di una strana influenza e non perché, uscendo di casa, qualcuno potrebbe spararci.